martedì 3 giugno 2008

FORTUNE TELLER: JEFF CANNATA

Polistrumentista di talento, Jeff Cannata esordisce nel music biz fondando i Jasper Wrath alla fine degli Anni 60 insieme a Michael Soldan, Robert Giannotti e Phil Stone. La band, artefice di un’originale mistura di beat, prog rock e vaghi acceni psichedelici, viene notata dalla MGM e messa sotto contratto. Il disco d’esordio, registrato negli studi di Phil Ramone a New York, ottiene un lusinghiero successo di critica: paragoni con la musica degli Yes e dei Gentle Giant non tardano ad arrivare. Dopo svariati provini, viene ingaggiato il cantante James Christian (futuro frontman degli House of Lords) e la formazione si amplia con gli innesti del tastierista Jeff Batter e del chitarrista Scott Zito. I Jasper Wrath svolgono un’incessante attività live nel Nord-Est degli States fino al 1976, allorquando difficoltà economiche e divergenze musicali ne causano lo scioglimento.
Nel 1983 Cannata firma per la Portrait Records (famiglia CBS) e dà alle stampe ArcAngel: lontano anni luce dal prog settantiano dei Jasper Wrath, il disco sciorina un eccellente, inebriante hard pop arricchito da un sontuoso tappeto di tastiere e linee vocali che richiamano alle mente i Cars di Rick Ocasek. Oltre al ruolo di compositore, che divide con il vecchio sodale Michael Soldan, Cannata assume anche quello di cantante, che assolve con risultati sorprendenti.
Nel 1988 la Carrere (sempre sotto l’ala protettrice della CBS) offre a Cannata la possibilità di costruire a casa propria uno studio di registrazione analogico a 24 piste dove comporre e incidere in tutta libertà. Il risultato è Images of Forever, incluso dalla rivista specializzata Kerrang! nella top ten dei dischi di rock melodico progressivo dell’anno. Il disco si presenta come una versione più pop dei Saga targati Anni 90: la voce di Jeff, infatti, ha sorprendenti similitudini con quella di Michael Sadler e l'utilizzo della chitarra richiama alla mente lo stile di Ian Crichton, chitarrista del combo canadese.
Nel 1993 Cannata firma un contratto per l’etichetta inglese Now and Then: il risultato è Watching The World, disco che conferma l’originale ricetta musicale del Nostro, artefice di un rock morbido ma non anodino, arioso e scintillante. Nel 1997, pungolato dai fans, Cannata cura personalmente la pubblicazione dell’opera omnia dei Jasper Wrath: un doppio cd (per un totale di 26 canzoni) che esaurisce rapidamente una tiratura purtroppo limitata.
Cinque anni dopo esce Tamorok, che alterna incisioni inedite con classici di un passato non troppo remoto. Nel 2006 esce Mysterium Magnum, il disco più ambizioso di Cannata, un vero zibaldone musicale, un crogiuolo nel quale tutte le influenze e gli stili da lui praticati si incontrano e si fondono, creando un mosaico di cangiante bellezza.

lunedì 2 giugno 2008

HOLDING THE LINE: TOTO



"… a me la scettica convinzione
che la bellezza non possa essere
così bella, levigata, pettinata"
(Riccardo Bertoncelli,
critico musicale e scrittore)

I Toto appartengono a quella schiera di musicisti che possono vantarsi di aver monopolizzato per lunghi periodi i giudizi negativi della critica musicale militante nostrana, riflesso inevitabile di pregiudizi e luoghi comuni cementati nel tempo. Nato nella seconda metà degli Anni 70, il gruppo americano - la cui peculiarità era quella di essere costituito da turnisti rinomati e ricercati - è entrato subito nel mirino telescopico dei nostri critichini per la presunta ostentazione della propria perizia strumentale. Chi possiede una buona familiarità con la discografia della band di Steve Lukather & co. avrà di che storcere il naso. I primi dischi della band - Toto (1978); Hydra (1979); Turn Back (1981) e in parte Isolation (1984) - offrono infatti all'ascoltatore un ottimo esempio di rock raffinato, talora robusto, talora rilassato, suonato con tecnica sopraffina mai esibita gratuitamente. La musica che fuoriesce (una volta si scriveva "dai microsolchi", adesso quasi solo "dal dischetto ottico") è suonata con passione, non solo con padronanza. Ahinoi difetta in rabbia ribelle, e per questa "colpevole" manchevolezza molti addetti ai lavori non li hanno mai perdonati; uno dei più esperti, Riccardo Bertoncelli, allora (come oggi?) apologeta confesso del "the only beauty's ugly, man" (la sola bellezza è brutta, amico) di dylaniana memoria, continua a bollarli come "troppo addomesticati […] troppo laccati, troppo belli […] e troppo bravi". Per i bertoncelli d'Italia, d'altronde, i Toto sono stati, e sempre resteranno, gli insopportabili "primi della classe", perfetti e senz'anima. Eppure i primi dischi dei Toto, e una manciata di canzoni sparse negli altri, un'anima (e non dei "mortacci loro"…) la possiedono. Non è brutta, sporca, iconoclasta e cattiva, ma non per questo meno bella. Se è vero che, con l'avanzare dell'età e il sopraggiungere della routine e della maniera, hanno smarrito spontaneità e genuinità (al pari di Dylan e degli altri alfieri del Brut e Bon), è quantomeno opinabile l'affermazione secondo la quale "tante musiche 80 [erano] molto più interessanti, e vive e coraggiose". Tralasciando il concetto di "interessante", non risulta che per essere considerate "molto più vive e coraggiose" le musiche debbano giocoforza possedere un pedigrée punk, nichilista e proletario. Si può scrivere musica "viva e coraggiosa" all'ombra delle palme californiane e non chiamarsi John Doe o Exene Cervenka (un tempo leader degli X, peraltro grandissimi), ma Jeff Porcaro e David Paich…

LA DISCOGRAFIA

Toto (1978) ***1/2 - Una canzone su tutte: Hold the Line. Notevoli anche I'll Supply the Love e George Porgy. I Toto ottengono la nomination per i Grammy nella categoria Best New Artist.

Hydra (1979) ***1/2 - Il singolo di maggior successo di quest'album, 99, è stato ispirato da un film di George Lucas, "L'uomo che fuggì dal futuro" (THX 1138, 1971); nel film, le persone venivano infatti identificate con dei numeri anziché mediante nome e cognome.

Turn Back (1981) ***1/4 - I Toto induriscono il sound, e molti fans storcono il naso. Peccato, perché il songwriting è ispirato, e le canzoni toste come mai più in futuro. L'album, purtroppo, risulterà un mezzo passo falso per la band: raggiungerà infatti solamente la posizione numero 41 delle classifiche di Billboard.

IV (1982) **1/2 - Come diretta conseguenza del flop di Turn Back, i Toto si ammorbidiscono: pure troppo. Il disco, infatti, risulta a tratti soporifero. Non bastano Lovers in the Night e, soprattutto, Africa ad allontanare l'impressione di manierata anemia. Ma visto che qualità e successo non sono presupposto e conseguenza, il disco diventa addirittura di platino. Nel 1983, grazie a IV, i Toto si aggiudicano ben 6 Grammy...

Isolation (1984) *** - Durante le registrazioni del disco il cantante Bobby Kimball se ne va (o viene allontanato per i "soliti" problemi di alcol e di droga…), e Steve Porcaro consiglia il suo amico Dennis "Fergie" Frederiksen, già attivo nei da noi (semi)sconosciuti Le Roux e Trillion. Mai consiglio fu più ispirato: Frederiksen possiede un'ugola in titanio, non fa rimpiangere il suo pre decessore e porta nuova linfa vitale a un suono che rischiava di anemizzarsi del tutto. I singoli estratti dall'album sono Stranger In Town e Holyanna. Nel videoclip di Stranger In Town la parte principale è recitata dall'attore Brad Dourif, quello, tra gli altri, di Bambola Assassina; Trauma; Mississippi Burning; Alien IV e Qualcuno volò sul nido del cuculo.

Fahrenheit (1986) ** - Frederiksen purtroppo se ne va. Al suo posto arriva Joseph Williams, figlio di John, compositore di celebri colonne sonore (E.T.; Guerre Stellari). Il disco rappresenta un passo indietro: i Toto virano decisamente verso un molle rock radiofonico e perdono grinta e smalto dei tempi migliori. Il singolo di maggior successo è I'll Be Over You (nei cori spicca la voce di Michael McDonald).

The Seventh One (1988) **1/4 – Un impercettibile passo in avanti rispetto al disco precedente. Prima dell'uscita dell'album, Steve Porcaro abbandona la band per proseguire come solista (principalmente come compositore di colonne sonore), ma continuerà a collaborare attivamente con la band. In questo album due singoli di successo come Pamela e Stop Loving You (nei cori anche Jon Anderson, cantante degli Yes).

Past to Present 1977-1990 (1990) s. v. - Joseph Williams lascia i Toto durante il The Seventh One Tour, e la band decide di richiamare Bobby Kimball, con il quale incide alcune canzoni (fra le quali Goin' Home, che verrà poi inserita in XX). La casa discografica, tuttavia, fa pressione perché i Toto ingaggino il sudafricano Jean Michel Byron, che canta i 4 brani inediti. Durante il tour successivo i Toto si accorgono però che Byron non è adatto al loro stile e lo licenziano: i quattro inediti di questa raccolta rappresentano quindi la sua unica testimonianza artistica con il gruppo. Nonostante l'incompatibiltà con Byron, Out Of Love diventa comunque un singolo di successo in Europa.

Kingdom of Desire (1992) **1/2 - Williams non viene rimpiazzato da nessun cantante di ruolo. E' il chitarrista Steve Lukather a occuparsi di tutte le parti soliste. L'uscita del disco è funestata da una tragedia improvvisa: il 5 agosto 1992 il batterista Jeff Porcaro muore per un attacco cardiaco. Forse anche in conseguenza di questo tragico evento, il disco suona duro, spigoloso, aggressivo. In una parola: irriconoscibile alle orecchie dei fans. Poca farina dei Toto e molta - forse troppa… - di Steve Lukather. Kingdom of Desire sembra infatti un disco solista del chitarrista piuttosto che l'ottavo album di studio del gruppo… Il singolo estratto dall'album è Don't Chain My Heart. La canzone che chiude il disco, la strumentale Jake to the Bone, era stata inizialmente concepita da Steve Lukather con una partitura vocale per Roger Waters che stava registrando il suo Amused to Death nello studio accanto a quello dei Toto.

Absolutely Live (1993) *** - E' il primo live ufficiale della band. Simon Phillips, destinato a sostituire il povero Jeff Porcaro, impara in sei settimane la scaletta del Kingdom of Desire Tour. I concerti di questo tour si chiuderanno abitualmente con With a Little Help from my Friends dei Beatles, però nella versione tramandata da Joe Cocker.

Tambu (1995) **1/4 - Assorbito il contraccolpo - emotivo e professionale - per la scomparsa di Jeff Porcaro, e abbandonato l'hard di matrice lukatheriana, i Toto ritrovano un centro di gravità melodico, anche se il disco risulta troppo omogeneo e cristallizzato, imbrigliato in un soft-rock con insolite venature soul. Le uniche stille di energia le regala Drag Him to the Roof… Esordio ufficiale su disco per il drummer Simon Phillips, che però è costretto a rinunciare per motivi di salute alla prima parte del tour promozionale, e viene sostituito da Greg Bissonette (già nella David Lee Roth Band).

XX (1998) s. v. - E' una raccolta di materiale raro, inedito e dal vivo, che celebra i 20 anni di carriera del gruppo. Al tour promozionale prendono parte alcuni ex-membri della band, come Steve Porcaro e gli ex cantanti Bobby Kimball e Joseph Williams. Il singolo estratto, Goin' Home, verrà anche inserito (in una differente versione) in 3, album solista di Joseph Williams. Fra il materiale selezionato per questa raccolta è da segnalare On the Run, che costituisce l'ultima registrazione ufficiale (effettuata durante il Montreux Jazz Festival) con Jeff Porcaro alla batteria.

Mindfields (1999) **1/2 - E' il disco che sancisce il rientro nei ranghi del "figliol prodigo" Kimball, già collaudato nel recente tour del ventennale. Nonostante le insolite aperture reggae e una certa inclinazione al blues, il disco lesina energie creative, è discontinuo e ipertrofico (71 minuti!), talora a corto di identità. Un passo avanti, comunque, rispetto al troppo estetizzante Tambu.

Livefields (1999) **1/2 - Secondo live ufficiale per la band, ma mezza spanna sotto il precedente: i Toto battono il ferro ritrovato finché è caldo. Le registrazioni sono state effettuate in Francia durante il Mindfields Tour.

Through The Looking Glass (2002) *** - I Toto alle prese con il microcosmo delle "cover". Undici i pezzi, dal classico Could You Be Loved di Bob Marley al finale di It Takes a Lot to Laugh, It Takes a Train to Cry di Bob Dylan, passando per Steely Dan, Elton John, Cream, Elvis Costello, George Harrison ed Herbie Hancock. Il risultato? Sorprendente…

Live in Amsterdam (2003) **1/2 - Ennesimo live, registrato durante il tour del venticinquennale.

The Essential Toto (2003) s. v. – Raccolta pubblicata dalla Sony nella collana "The Essential", disponibile in versione singolo e doppio cd.

Falling In Between (2006) **3/4 – Grazie all'intraprendente etichetta napoletana Frontiers Records, che li mette a sorpresa sotto contratto, i Toto tornano a incidere un disco a 7 anni di distanza da Mindfields. Il tempo non è trascorso invano: la band ha ritrovato amalgama, grinta e motivazioni, e il disco è un puro distillato di Toto-sound riveduto, evoluto e corretto.

MOTHER'S FINEST - THE BLACK SIDE OF FUNK ROCK


Quando si parla di crossover, di rock ibridato con il funk, due sono i nomi sulla bocca di tutti: Living Colour e Red Hot Chili Peppers. Pochi, ahinoi, sono a conoscenza che mooolti anni prima dei suddetti esisteva una band caucasico-afroamericana chiamata Mother's Finest che… ma procediamo con ordine.
I Mother's Finest nascono nei primi Anni 70 ad Atlanta, Georgia, per iniziativa dei cantanti Joyce "Baby Jean" Kennedy e Glenn "Doc" Murdock. Sono la prima band rock interrazziale: la loro musica miscela ritmiche funky, chitarre dure e spigolose e un cantato vigoroso ma dal forte afflato soul. Il secondo disco, che replica il titolo del primo, "Mother's Finest", pubblicato nel 1976, contiene la canzone "Nigizz Can't Sang Rock'n Roll", vero e proprio manifesto ideologico e musicale, che all'epoca attirò gli strali di un importante personaggio del mondo religioso spingendo la band a cancellarla dalla scaletta dei concerti. Nel 1978 i Mother's Finest sono ospiti del programma televisivo tedesco Rockpalast e con un solo concerto - da poco ristampato in DVD, insieme a un concerto del 2003, con il titolo "Mother's Finest At Rockpalast" – diventano una band di culto in tutta Europa, status che mantengono tuttora. Sul finire dei Settanta il loro sound si ammorbidisce, virando verso il soul, ma nei primi Ottanta tornano a flirtare con l'hard rock ("Iron Age", 1981). Nel 1990, dopo un periodo di appannamento creativo e di disorientamento stilistico, culminato l'anno prima con "Looks Could Kill", nel quale propongono una azzardata miscela di suoni dance estranei alle loro corde, i Mother's pubblicano il live "Subluxation", non a caso registrato in Germania, vera patria musicale del gruppo, che incorona la band come una delle più travolgenti in sede live.
Due anni dopo suggellano il ritorno in grande stile con l'aggressivo, polemico, provocatorio "Black Radio Won't Play This Record" (1992), disco di potente hard funk rock esaltato dalla trascinante voce di Joyce Kennedy e da partiture di virulento impatto sonico. Dopo più di dieci anni di silenzio, nel 2003 i Mother's Finest escono dal letargo e pubblicano "Meta-funk'n-physical", più incline a inopinate sonorità hip-hop ed elettroniche, che finiscono per snaturare il sound delle origini. Per avere un assaggio assai eloquente del sound dei Mother's Finest si consigliano i loro cavalli di battaglia, da "Baby Love" a "Fire", da "Piece of the Rock" a "Mickey's Monkey" e a "Love Changes".

Mother's Finest (membri originali):
Joyce "Baby Jean" Kennedy (vocals)
Glenn "Doc" Murdock (vocals)
Barry "B.B. Queen" Borden (drums)
Mike Keck (keyboards)
Jerry "Wyzard" Seay (bass)
Gary "Moses Mo" Moore (guitar)

Discografia:
Mother's Finest (1973 RCA LSP-4790)
Mother's Finest (1976 Epic PE 34179)
Another Mother Further (1977 Epic)
Mother Factor (1978 Epic)
Live (1979 Epic)
Iron Age (1981 Atlantic)
One Mother to Another (1983 Epic)
Looks Could Kill (1989 Capitol)
Subluxation (live, 1990 RCA)
Black Radio Won't Play This Record
(1992 RCA)
Meta-Funk'n Physical (2003 UTR Music)
Mother's Finest At Rockpalast (2004, Live DVD)
Mother's Finest - Right Here Right Now Live at Villa Berg (2005 MTM)

OWNER OF A TALENTED HEART: TREVOR RABIN

Forse sono pochi coloro che non hanno mai ascoltato "Owner of a broken heart", megahit degli Yes targato 1983. Pochi, sicuramente, sono però coloro che conoscono il nome di colui che di quel sound fu l'artefice: Trevor Rabin. Trevor Charles Rabinowitz nasce in Sud Africa il 13 gennaio 1954 da una famiglia di musicisti: il padre è primo violino dell'Orchestra Filarmonica di Johannesburg. Da bambino prende lezioni di piano, e a 12 anni scopre la sua vocazione per la chitarra rock. Nel 1974 forma il suo primo gruppo, i Rabbitt, con i quali incide due dischi, Boys Will Be Boys (1975) e A Croak & a Grunt in the Night (1977), che gli valgono anche un riconoscimento a livello nazionale. I Rabbitt, purtroppo, non possono andare in tournée all'estero per via della politica pro apartheid del loro Paese, così Rabin decide di abbandonare la band e nel 1978 si trasferisce a Londra per perseguire la carriera solista. Tra il 1978 e il 1980 incide tre album, "Trevor Rabin" (conosciuto anche con il titolo di "Beginnings", 1978), "Face to Face" (1980) e "Wolf" (1981), quest'ultimo realizzato con l'ex bassista dei Cream, Jack Bruce, e il batterista Simon Phillips, nei quali mette in luce un rock maturo e variegato, una voce espressiva e un'ottima tecnica chitarristica. Nel 1981 conosce Chris Squire e Alan White, rispettivamente bassista e batterista del leggendario gruppo progressive degli Yes, appena scioltosi, e con loro decide di dare vita a un nuovo progetto musicale, che presto prende il nome di Cinema. Alle tastiere, dopo la rinuncia di Eddie Jobson (UK, Jethro Tull), i tre arruolano un altro membro storico degli Yes, Tony Kaye. La ricerca del cantante si rivela più laboriosa: in un primo tempo viene contattato Trevor Horn (già voce solista degli Yes sullo sfortunato "Drama" del 1980), che declina; poi si pensa di affidare l'incarico allo stesso Rabin, infine un fortuito incontro a Los Angeles tra Squire e Jon Anderson, voce originale degli Yes (ancora loro!), scioglie ogni dubbio. A questo punto, con 4 ex membri degli Yes su cinque, la scelta di riesumare il mitico monicker appare scontata, nonostante lo scetticismo dello stesso Rabin, che non vuole correre il rischio di essere considerato dai fans della band madre come il sostituto di Steve Howe, quanto piuttosto come il chitarrista di una nuova band. Nel 1983 viene pubblicato "90125" (nome preso dal numero di catalogo con il quale esce per l'Atlantic), che trascinato dal singolo "Owner of a broken Heart" si rivela essere uno dei dischi più venduti della storia del gruppo. L'ingresso di Rabin, che oltre a comporre buona parte delle canzoni e a suonare la chitarra, duetta spesso con Anderson alla voce solista e suona le tastiere, è determinante nel decretarne il successo. E' vero che, a parte la voce angelica di Jon Anderson e certi inconfondibili impasti vocali, il nuovo corso musicale degli Yes nulla ha in comune con quello originale; il suono della chitarra di Rabin è più moderno, duro, essenziale, di quello di Howe (che non ha mai fatto mistero di non sopportarlo), ma all'occorrenza sa ripetere brillantemente i virtuosistici intrecci che resero famoso il suo illustre predecessore. Nel 1987 è la volta di "Big Generator", che contiene il singolo "Love Will Find A Way", interamente scritto da Rabin. A questo punto riemergono antichi dissapori tra Chris Squire e Jon Anderson, che sfociano in carte bollate e aule di tribunale: la band si scioglie. Nel 1989 Rabin ne approfitta per pubblicare il suo quarto disco solista, "Can't Look Away". Nel 1991 gli Yes si riformano con formazione allargata a otto elementi: "Union" è il titolo, significativo, del loro nuovo disco. Tra alti e bassi Rabin continua a suonare con loro fino al 1995, anno in cui abbandona, deciso a dedicarsi alla composizione di colonne sonore: tra queste ricordiamo "Armageddon", "Fuori in 60 secondi", "Flyboys" e Snakes on a Plane". Musicista poco conosciuto e apprezzato dal pubblico, ma stimato dagli addetti ai lavori, Trevor Rabin è stato un polistrumentista rock di assoluto valore, ottimo compositore.e arrangiatore, valente esecutore. A chi ancora non lo conosce consigliamo di recuperare, a parte i dischi incisi con gli Yes - soprattutto i primi due -, almeno il terzo e quarto da solista, considerata la difficile reperibilità dei due cd dei Rabbitt.
Non è detto che, tra un Linkin Park e un Green Day, tra un Interpol e un Kid Rock, per non scomodare le icone dell'hard & heavy o del prog rock, non riesca a ritagliarsi un piccolo spazio nella vostra discografia.





ITALIANS ROCK IT BETTER # 2: MOONSTONE PROJECT


Innamorato dell'hard rock venato di blues degli Anni 70, il chitarrista Matteo "Matt" Filippini ha dato vita all'ambizioso Moonstone Project, e nell'aprile del 2006 ha pubblicato il disco d'esordio, "Time To Take a Stand". Il disco vanta collaborazioni a dir poco prestigiose: la lista dei cantanti che hanno prestato la propria celebrata ugola va da Glenn Hughes (Trapeze; Deep Purple) a Graham Bonnet (Rainbow; MSG; Alcatrazz; Impellitteri), da Paul Shortino (Rough Cutt; Quiet Riot) a Steve Walsh (Kansas), da Kelly Kealing ad Eric Bloom (Blue Oyster Cult), senza dimenticare il grande James Christian (House of Lords); come se non bastasse, in diverse tracce troviamo Ian Paice (Deep Purple) e Carmine Appice (Vanilla Fudge; King Kobra; Blue Murder) alla batteria e Tony Franklin (Firm; Whitesnake; Blue Murder) al basso. Un vero Dream Team dell'hard rock di matrice settantiana, non c'è che dire. Commetteremmo però un grave torto se non menzionassimo gli altri musicisti, meno blasonati ma non per questo meno brillanti, che completano questo prezioso mosaico: Enrico Sarzi & Alex Mori, Maurizio Corriga, Nik Mazzucconi, Chris Catena, Gianluca Tagliavini, Alex Del Vecchio, Daniel Flores, Johan Niemann. Qualcuno si chiederà: come ha fatto un musicista dotato quanto sconosciuto in ambito internazionale convincere artisti così celebri a collaborare al suo progetto? Lo spiega lo stesso Filippini: "Paice è stata la chiave di volta! È stato molto più semplice coinvolgere anche tutti gli altri, ovviamente se chiedi ad un grosso nome di partecipare ad un tuo progetto (e come nel mio caso non sei nessuno) c'è sempre un po' di diffidenza. Se ti presenti dicendo che Ian Paice dei Deep Purple suona sul tuo album, riesci a superare con più facilità molte barriere! E così via via la lista dei guest cresceva parallelamente alla credibilità di Moonstone Project. Sia chiaro, non basta pagare per avere certi musicisti. Alcuni hanno detto di no, e li rispetto perché lo hanno sempre fatto con eleganza!".
Pazienza, Matt: quelli che hanno rifiutato li ritroveremo magari sul secondo disco!

ITALIANS ROCK IT BETTER: WINE SPIRIT


Alzi la mano chi non mai ha visto la pubblicità della Citroën C2, quella realizzata con le anime (cartoni animati giapponesi)? Pochi lo sanno, ma la canzone che funge da colonna sonora è Tail Gunner dei milanesi Wine Spirit!
I Wine Spirit nascono agli inizi del 1996 dall'incontro di tre musicisti attivi da molti anni nell'area milanese e provenienti dalle più diverse esperienze, che li hanno visti collaborare al fianco di artisti italiani e stranieri (Paola Turci, Samuele Bersani, Banco, Gigi Cifarelli, Zachary Richard, Chicken Mambo tra gli altri). Il gruppo prende vita con la volontà di riscoprire i vecchi classici (ma non soltanto…) dell'hard rock di stampo angloamericano dell'ultimo ventennio (Van Halen, Deep Purple, Motörhead, Kiss, Black Sabbath) e le profonde radici dei componenti del gruppo, autentici rockers anche e soprattutto nella vita quotidiana. I trascinanti live-shows dei Wine Spirit sono un momento di assoluta celebrazione del rock più sanguigno, intenso e viscerale, impreziosito non soltanto dalle capacità strumentali del power-trio ma anche da quelle di coinvolgere ed intrattenere il pubblico, sempre più numeroso ad ogni concerto. Dimostratore ufficiale dal '97 di Yamaha Music Italia, per la quale ha tenuto numerose clinics da un capo all'altro della Penisola, partecipando anche al Gods of Metal 2000 e 2001.
Dopo l'uscita del primo album ufficiale, "Bombs Away", nel novembre 2001 per l'etichetta texana Perris Records, la band ha firmato un nuovo contratto discografico con l'etichetta Sacred Metal, per la quale ha pubblicato il secondo disco, "Fire in the Hole", nel 2004.



LET IT ROLL - INTERVISTA CON PHIL MOGG DEGLI UFO


Dopo oltre 30 anni di carriera qual è il segreto che permette agli Ufo di volare ancora così in alto?
"L'alcol! (risate) A parte gli scherzi, non c'è mai stato nulla di pianificato. Credo che nessuno di noi immaginasse di durare così a lungo: alti e bassi, abbandoni e riunioni hanno finito per rafforzarci.
Forse anche la complementarietà dei nostri caratteri…".

Da dove deriva il nome della band?
"Da un famoso locale di Londra, che si chiamava, appunto, U.F.O.".

Se non ricordo male era un club dove si "viaggiava" parecchio, ma non in senso tradizionale…
"Assolutamente sì!".

Quanto è stata consapevole la trasposizione di questi… "viaggi" nello space rock degli esordi?
"All'epoca, io, il chitarrista (Mick Bolton, ndr) e il bassista (Pete Way, ndr) vivevamo a Londra e bazzicavamo i Roundhouse Studios, dove era in auge l'acid rock. I Pink Floyd, Jimi Hendrix, i
Free erano da poco usciti allo scoperto; noi abbiamo contaminato lo space rock inacidito con il blues: in quel periodo, infatti, cominciavamo a interessarci di più al r&b e al blues".

Dal prog psichedelico di "Prince Kajuku" (da "Ufo 2 - Flying", del 1971, ndr) a una forma di hard rock molto diretta: cosa ha determinato questo cambiamento?
"Suonavamo da poco tempo, non avevamo un'identità musicale ben precisa. Quando firmammo il nostro primo contratto non avevamo mai messo piede in uno studio di registrazione, potevamo
vantare solo un'esibizione al Marquee (celebre locale di Londra, ndr). Non avevamo nessuna esperienza in materia di songwriting e di incisione; da allora abbiamo cominciato a scrivere sempre più. Poi, il cambiamento maggiore ha coinciso con l'arrivo di Michael Schenker".

La vostra etichetta, la Chrysalis, era specializzata in gruppi progressive…
"Sì, ma prima avevamo firmato un contratto con la Beacon, che aveva pubblicato i nostri dischi di space rock, e solo dopo eravamo passati alla Chrysalis. Con la nuova etichetta arrivò anche il nuovo chitarrista…".

Perché un tedesco quando avevate un'ampia scelta di musicisti anglosassoni?
"Frutto del caso. All'epoca il nostro chitarrista era Bernie Marsden (poi nei Whitesnake, ndr); dovevamo fare un tour in Germania e il giorno della partenza lui si dimenticò il passaporto a casa! Avevamo assistito a un concerto degli Scorpions ed eravamo rimasti impressionati dal talento di Michael (Schenker, ndr), così ce lo facemmo 'imprestare' per il concerto di quella sera, e di quella
dopo. Alla fine gli proponemmo di unirsi a noi. Bernie, comunque, era un ottimo musicista, un tipo in gamba e divertente, tranne quando si toglieva le scarpe e le metteva sotto l'impianto di riscaldamento della macchina! Il calore rendeva l'aria alquanto fetida! Una volta che Bernie si era tolto le scarpe e si era addormentato, Pete Way le infilò in un sacchetto di plastica e le lanciò dal finestrino!".

Fra tutte le band di hard blues rock, gli Ufo sono quelli che hanno mantenuto meglio la propria identità musicale. Qual è il segreto?
"Credo si tratti di una combinazione di stili: quello di Michael, di Pete e il mio. Ce ne siamo accorti quando abbiamo provato a suonare con altri musicisti".

Come siete entrati in contatto con Leo Lyons, bassista dei Ten Years After e produttore di "Force It", "No Heavy Petting" e "Lights Out"?
"Eravamo sotto contratto con la Chrysalis, che si occupava anche del management dei Ten Years After. Un giorno il boss dell'etichetta ci propose di andare in studio con Leo, e noi accettammo di buon grado".

Torniamo un attimo a "Force It": aveva una copertina d'impatto…
"Se ne occupò lo studio Hipgnosis, che aveva già disegnato quella di 'Phenomenon' e in seguito realizzò quella di 'No Heavy Petting'".

Ne uscirono due versioni, una per il mercato americano e una per quello inglese…
"In America non volevano che si mostrasse il capezzolo visibile sulla copertina europea, così decisero di sfumare le due figure femminili. Personalmente non ci trovavo nulla di offensivo né di particolarmente spinto. Oltretutto, modificando la cover si perdeva il significato della stessa (risate)".

Come siete entrati in contatto con George Martin (il leggendario produttore dei Beatles che nel 1980 si occupò di 'No Place To Run', ndr)?
"Sempre tramite la nostra etichetta, la Chrysalis. In precedenza avevamo collaborato con Ron
Nevison (nel 1978, per 'Obsession', ndr), che aveva fatto un ottimo lavoro, ma a quel tempo
volevamo cimentarci con qualcun altro".

Qual è il disco degli Ufo che preferisci da un punto di vista strettamente musicale?
"Non saprei. Di solito tendo a valutare i dischi in base ai ricordi ad essi legati, quindi potrei non essere così obiettivo nella scelta! Rammento che ci divertimmo un sacco durante le registrazioni di 'The Wild, The Willing and The Innocent' (il primo autoprodotto, ndr), come anche di 'No Place To Run' e prima di 'Obsession'; questi sono appunto i miei preferiti. Del materiale del primo periodo direi 'No Heavy Petting' e 'Lights Out', che rappresentò una pietra miliare nel nostro processo evolutivo".

Come cantante quali sono stati i tuoi "maestri"?
"Quelli della vecchia guardia, come Screaming Jay Hawkins, Sonny Boy Willliamson, Muddy Waters e Howlin' Wolf. Tra quelli più… recenti Stevie Marriott (cantante e chitarrista solista
degli Small Faces e degli Humple Pie, ndr) era uno dei miei preferiti, quindi Joe Cocker e Terry Reid".

Parlando di cantanti solisti: in questa veste avresti potuto incidere molti dischi, ma non l'hai fatto. Come mai?
"Non si è mai presentata l'occasione; sono sempre stato impegnato con gli Ufo e non c'era molto tempo per dedicarsi ad altro. Di recente ho inciso un paio di dischi come Mogg Way e uno
con i Sign of 4…".

Perché avete intitolato un vostro disco "Sharks" ("Squali", l'ultimo con Michael Schenker, nel 2002, ndr)?
"Perché ne siamo circondati! (risate) Sono dappertutto!".

Questa è paranoia, l'argomento trattato in "Doctor Doctor" (uno dei primi hit della band, datato 1974, ndr), se non sbaglio…
"Esatto!".

Canzone che ci riporta di nuovo al passato: dove si colloca Phil Mogg?
"Nel presente, qui e ora; ma ho un'ottima memoria…"

(Fonte: glam-metal.com, traduzione mia)

venerdì 30 maggio 2008

RIFF RAFF: HEAVY METAL KIDS # 2 - SAXON LIVE

Saxonauti al concerto di Biff & co. al Palasport di Torino, 30 settembre 1985


RIFF RAFF: HEAVY METAL KIDS # 1 - IRON MAIDEN LIVE

Concerto dei Maiden al Palasport di Torino, 3 aprile 1981: in primo piano un'augusta delegazione di aristocratici sabaudi... (degna di menzione la capigliatura bionda tinta del tesoriere del granducato di Falchera)


giovedì 29 maggio 2008

GRAHAM BONNET ROCKS YOU TO THE GROUND PART 1 (1968-1981)

(le dichiarazioni di Graham Bonnet & co. sono estrapolate da diverse interviste pubblicate sul sito http://www.bonnetrocks.com/)

Top Ten di Graham Bonnet

1. White Album (The Beatles)
2. In Through The Out Door (Led Zeppelin)
3. Talking Book (Stevie Wonder)
4. Surf's Up (The Beach Boys)
5. The Buddy Holly Story (Buddy Holly)
6. Love on the Airwaves (Gallaghar & Lyle)
7. All Things Must Pass (George Harrison)
8. Imagine (John Lennon)
9. The Kink Kronikles (The Kinks)
10. No Dice (Badfinger)

(da un'intervista rilasciata alla rivista giapponese "Rockin' f", 1983)

Pochi, alla luce di quanto scritto sopra, e conosciuti gli esordi di Graham Bonnet, avrebbero osato predirgli una carriera marchiata hard & heavy.
Inglese di Skegness, Lincolnshire, dove nasce il 23 dicembre 1947, Bonnet muove i primi passi in una direzione artistica completamente diversa da quella che avrebbe poi intrapreso ("Amo il R&B e il blues, sono le mie radici musicali"). A 15-16 anni suona blues nei pub londinesi; qualche tempo dopo fonda i Graham Bonnet Set, ai quali si unisce presto il cugino, Trevor Gordon Grunnill (poi solo Trevor Gordon), di un anno più giovane, nativo di Skegness ma cresciuto in Australia, dove nel 1964 era entrato in contatto con i Bee Gees, incidendo con loro quattro canzoni. La collaborazione con i futuri interpreti di "Saturday Night Fever" è destinata a continuare: al Revolution Club di Londra, dove la band sta per esibirsi, Trevor reincontra Robert Stigwood, manager dei Bee Gees e padrone della RSO Records. La band si scioglie, mentre Graham e Trevor entrano in sala di incisione per registrare alcune canzoni dei fratelli Gibb, di Neil Sedaka e di altri artisti. Barry Gibb è il supervisore delle operazioni: è lui a trovare e imporre il nome The Marbles (il fratello Robin aveva scelto Peanuts...), mentre Bonnet e Gordon avevano pensato di chiamarsi Bonar Law. Il duo viene messo sotto contratto dalla Polydor e nell'agosto 1968 esce il primo singolo, scritto da Maurice e Barry Gibb, Only One Woman. Grazie alla travolgente interpretazione di Bonnet, che impressiona per estensione vocale, ideale via di mezzo tra Tom Jones e Rod Stewart, la canzone raggiunge il quinto posto in Inghilterra, e in Sud Africa addirittura il numero uno. Un aneddoto eloquente della potenza vocale di Bonnet: durante le sessioni di "Only One Woman" Barry Gibb invitò Graham ad allontanarsi sempre più dal microfono!
Esattamente vent'anni dopo, nel 1988, la canzone sarà reincisa da una band svedese, gli Alien, e raggiungerà la vetta delle charts locali.
Purtroppo Only One Woman rimane anche... l'only one hit dei Marbles: infatti il loro secondo singolo, The Walls Fell Down, passa inosservato in madrepatria, mentre diventa popolare in Olanda, dove raggiunge il numero 3 della Top 40 nell'aprile del 1969. Ciononostante, i Marbles si sciolgono. L'anno successivo viene dato alle stampe il loro primo, e unico, album, ristampato in cd nel novembre 2003 dalla Repertoire Records con l'aggiunta di diverse bonus tracks e di un libretto ricco di foto e di notizie.
Dopo la fine dei Marbles, Bonnet sbarca il lunario incidendo jingles pubblicitari, e nel 1974 fa addirittura il suo esordio come attore nella commedia brillante Three For All, diretta da Martin Campbell, in cui interpreta il ruolo di Kook, cantante di una band dal nome curioso, Billy Beethoven.
Nel 1977 esce Graham Bonnet, prima prova da solista, che conquista il disco d'oro in Australia. Pezzo trainante di un album votato al verbo del rhythm & blues una cover della dylaniana It's All Over Now, Baby Blue, interpretata con vigore dal Nostro. Il disco sciorina un repertorio dai chiari rimandi nostalgici agli Anni 60: Bonnet esegue Will You Love Me Tomorrow, scritta da Carole King e portata al successo nel 1961 dalle Shirelles, e una versione di It Ain't Easy di Ron Davies, incisa cinque anni prima da David Bowie per "Ziggy Stardust", e si misura addirittura con un traditional blues-folk quale Rock Island Line, registrato per la prima volta da Leadbelly nel 1937, mentre l'unica canzone scritta dall'ex Marbles è la terza, l'allegra marcetta soul di Wino Song.
Nel 1978 viene pubblicato No Bad Habits; del disco esistono due versioni, una australiana e una olandese, con scalette differenti. Nel 1981 il disco viene ristampato in Giappone con una variazione fondamentale: Warm Ride, dei fratelli Gibb, viene rimpiazzata dall'incalzante Bad Days Are Gone, scritta da Bob Young e Mickey Moody, che la impreziosce con un bell'assolo. No Bad Habits ripercorre territori più congeniali al pedigrée del Nostro con la lenta, sofferta Is There A Way To Sing The Blues, il blues cadenzato di Cold Lady, il folk-rock pimpante di Can't Complain, il rock and roll di Stand Still Stella fino al sorprendente reggae di Only You Can Lift Me, del cantautore sudafricano John Kongos, dal cui repertorio proto-world music Bonnet attinge altre due songs, Pyramid e la conclusiva, solare Won't You Join Me, quest'ultima preceduta dalla dylaniana I'll Be Your Baby Tonight.
Nel 1979 esce per il mercato tedesco Can't Complain, disco che raccoglie il meglio dei due precedenti album. Nello stesso anno avviene l'imprevedibile: Ritchie Blackmore è alla ricerca per i suoi Rainbow di un cantante che non faccia rimpiangere Ronnie James Dio, andatosene per le solite divergenze creative. La scelta, dopo un provino molto breve (la sola Mistreated), cade su Bonnet: "Ritchie si ricordava di avermi sentito cantare Only One Woman con i Marbles, e chiese a Roger Glover informazioni sul mio conto. Io, in tutta onestà, non sapevo chi fossero i Rainbow. Certo, conoscevo di fama i Deep Purple, ma all'epoca le mie preferenze musicali andavano ai Beatles...".
Anche alla luce di questa dichiarazione la scelta pare azzardata, poiché il curriculum e il look alla James Dean (!?) non sembrano i più adatti per cancellare dalla memoria dei fans il ricordo dell'elfo italo-americano dalla voce adamantina.
Il 28 luglio 1979 viene pubblicato in Inghilterra Down To Earth, disco che segna una significativa virata verso sonorità più commerciali: "La decisione [di ammorbidire il suono] era stata presa prima che mi unissi alla band". I Rainbow entrano per la prima volta in classifica con due canzoni, All Night Long ma soprattutto una cover di Russ Ballard, Since You Been Gone, tutt'ora cavallo di battaglia del Nostro dal vivo. La voce graffiante di Bonnet lascia il suo marchio indelebile su diversi pezzi, dall'epica cavalcata di Eyes of the World passando per l'intenso blues di Love's No Friend e arrivando alla trascinante Lost In Hollywood, che per inciso sono le sue predilette.
Il tour di supporto al disco è molto intenso: alle prese con il vecchio repertorio dell'era-Dio, Bonnet dimostra idiosincrasia nei confronti di canzoni quali "Man On The Silver Mountain" e "Long Live Rock 'n Roll": "Cantare canzoni non registrate da me mi dava la spiacevole impressione di essere continuamente oggetto di commenti del tipo 'non è bravo quanto...'". L'ultima esibizione del cantante (e del batterista Cozy Powell) con i Rainbow è anche la migliore, il 16 agosto 1980, nell'esaltante cornice di Castle Donington, a suggello della prima edizione del Monsters of Rock, davanti a 100 mila spettatori entusiasti. Una curiosità: sul palco viene eseguita Will You Love Me Tomorrow, pescata dal repertorio solista del cantante, che il gruppo avrebbe voluto pubblicare come singolo ma che restò inedita.
Come accennato, dopo il Monsters of Rock il batterista se ne va, e il tastierista Don Airey minaccia di fare altrettanto. Bonnet, che aveva legato molto con i due, rimane spiazzato dagli eventi e medita anche lui di abbandonare il gruppo: "Bobby Rondinelli era il nuovo batterista, Cozy non c'era più, Don Airey era lì lì per andarsene; le cose stavano cambiando. In quel periodo eravamo a Copenaghen per la preparazione del nuovo disco: l'instabilità ci aveva reso improduttivi. A un certo punto me ne tornai a Los Angeles e da lì feci sapere che non sarei più tornato. Con il senno di poi, avrei potuto resistere ancora un po', come fece Don Airey, che non andò subito via come aveva annunciato. La routine però stava avendo il sopravvento, l'entusiasmo dei primi tempi si era dileguato. Quando sopraggiunge la noia è meglio mollare, e così feci!".
Dopo aver declinato l'offerta di sostituire Ozzy Osbourne nei Black Sabbath - "il loro manager mi contattò, mai io rifiutai... non sono mai stato un grande fan dei Sabbath, anche se forse allora presi la decisione sbagliata..." -, Bonnet torna a dedicarsi alla carriera solista: è sotto contratto con la Phonogram, sponda Vertigo; David Oddie, suo manager dal 1977 e legato alla Quarry Productions, coinvolge nel progetto Francis Rossi degli Status Quo - anch'egli della scuderia Quarry - e John Eden. Obiettivo: la realizzazione di un singolo; la scelta ricade su Night Games, di Ed Hamilton. La canzone è orecchiabile, possiede una melodia accattivante ed è commerciale al punto giusto: la voce trascinante di Bonnet provvede poi a fornirle un vestito musicale più aggressivo. La formazione raccolta intorno all'ex cantante dei Rainbow (etichetta immancabile sulle copertine dei dischi futuri...) è di tutto rispetto: Cozy Powell alla batteria, Mickey Moody alla chitarra acustica ed elettrica, Gary Twigg al basso, Andy Bown degli Status Quo al piano e all'organo. Nel marzo 1981 Night Games viene pubblicato in Inghilterra, dove raggiunge la sesta posizione. Bonnet partecipa anche alla trasmissione Top of the Pops: dei musicisti che suonano sul disco sono presenti solo Powell e Twigg. Intanto, in Giappone la canzone raggiunge la seconda posizione.
Il secondo singolo ad essere pubblicato è Liar, pezzo scritto nel 1969 da Russ Ballard per il primo disco degli Argent e già interpretato dai Three Dog Night nel 1971. Il lato B è occupato dalla ben più grintosa Bad Days Are Gone. La scelta della casa discografica si rivela infelice: Liar non va oltre il 51° posto nelle classifiche inglese. E’ un vero peccato che in sua vece non sia stata scelta un’altra canzone firmata da Ballard, S.O.S., dotata di dinamica aggressività, ideale biglietto da visita per l’ugola graffiante del Nostro, come spiega lo stesso Cozy Powell: “S.O.S. era ideale, invece scelsero un singolo anacronistico come Liar; mi chiedo spesso come ragionino i discografici: magari fanno scegliere alla cameriera che porta il tè!”. L’ingenuità più grave la commette però Bonnet stesso, che se ne torna a Los Angeles disinteressandosi del mixaggio finale dell’album. Mixaggio che smorza inesorabilmente i toni più rock: “Nonostante le premesse, il disco finì per diventare pop; ci suonavano musicisti del calibro di Jon Lord, Mickey Moody e Cozy Powell, ma il produttore John Eden vanificò la loro presenza esagerando con gli arrangiamenti di tastiere. Non fui per niente soddisfatto del risultato finale”.
Alla fine di ottobre del 1981 il disco viene finalmente dato alle stampe: Line-Up (questo l’anonimo titolo scelto) riceve una modesta promozione da parte della Phonogram, tanto che dopo aver raggiunto il 62° posto nelle charts inglesi si eclissa senza lasciare traccia. L’lp ha qualche momento convincente – Night Games, S.O.S, la ballata I’m a Lover ed Anthony Boy -, ma altri decisamente sottotono, e, cosa più grave, manca di un preciso indirizzo stilistico: Be My Baby (di Phil Spector) viene definita dalla stampa specializzata inglese “zucchero a velo nauseabondo”. Bonnet si affida a un repertorio rock ‘n roll fin troppo convenzionale e una produzione fiacca rende il disco anemico.





















BAD TASTE (IN FASHION) IS NO EXCUSE: SAXON LIVE 1985 # 2

La visiera da tennista indossata da Paul Quinn è uno degli accessori più ridicoli e fuori luogo apparsi su un palco metal!
















BAD TASTE (IN FASHION) IS NO EXCUSE: SAXON LIVE 1985 # 1

Concerto del 30 settembre 1985 al Palazzetto dello Sport di Torino: l'Arm of the Law è ancora Strong, ma così conciati sembrano i Village People dell'HM!











SOMEWHERE IN TIME: IRON MAIDEN IN TURIN 15 DICEMBRE 1986

Somewhere In Time Tour, special guest: W.A.S.P. Dopo due-tre pezzi la voce di Dickinson comincia già a fare i capricci: all'epoca capitava spesso...







ONCE UPON A TIME ON STAGE: KROKUS LIVE IN TURIN 1982

One Vice At A Time Tour, Teatro Tenda, Torino... Tonight Long Stick Goes Boom!





mercoledì 28 maggio 2008

GABBA GABBA HEY! - RAMONES LIVE IN TURIN 18 FEBBRAIO 1980

Sì, è vero: i Ramones sono punk, non hard... Però sono grandi lo stesso!



























martedì 27 maggio 2008

ONCE UPON A TIME ON STAGE: IRON MAIDEN LIVE IN TURIN 3 APRILE 1981 # 2





























ONCE UPON A TIME ON STAGE: IRON MAIDEN LIVE IN TURIN 3 APRILE 1981 # 1











CHARLIE DOMINICI: BACK WITH A TRILOGY

O3 - A TRILOGY
E' proprio vero che 3 è il numero "perfetto"? Dopo svariati, illustri esempi cinematografici - Matrix; Il signore degli anelli; I Pirati dei Caraibi; X-Men -, anche la musica si accoda alla moda imperante. A sfornare una trilogia in note è un illustre sopravvissuto dai trascorsi nobili ancorché decaduti: Charlie Dominici. Italo-americano made in Brooklyn, classe 1951, il buon Charlie è famoso per avere cantato sul primo disco dei Dream Theater, "When Dream and Day Unite" (1989). Ben prima del fatale incontro con Portnoy & co., Dominici, grande estimatore dei Beatles, aveva formato il duo "Billy and Charles", artefice nel 1969 di un disco omonimo semi-acustico divenuto ormai oggetto di culto collezionistico: su Gemm lo vendono a 65 dollari...
Nel 1981 partecipa come corista al disco d'esordio dei "Franke & Knockouts", band del New Jersey di effimero successo, famosa soprattutto per aver ospitato nelle sue file il futuro batterista dei Bon Jovi, Tico Torres.
L'esperienza nel Teatro del Sogno fu alquanto breve. Dopo di essa Dominici si dedicò ad attività extramusicali (tra le quali la gestione di una società di prestiti e ipoteche...) fino al 2005. Il 5 luglio di quell'anno dà alle stampe "O3 A Trilogy - Part 1", primo disco dopo un silenzio durato ben 16 anni. Il ritorno sulla scena musicale si rivela senz'altro coraggioso; incurante di mode e ricorsi nostalgici, il Nostro incide ciò che nessuno si sarebbe aspettato: accompagnato esclusivamente dallo scarno contrappunto di una chitarra acustica e talora di un'armonica a bocca, Dominici realizza la prima parte di quello che nelle sue intenzioni sarebbe stato un concept apocalittico diviso in tre segmenti. Dieci canzoni pregne di umori malinconici, dieci canzoni che rivelano un talento vocale inaspettato, esaltato dai toni intimisti e riflessivi che permeano tutta l'opera. Nel 2006 entra in contatto con la band svizzero-sarda dei Solid Vision (due ottimi cd all'attivo, Eleven e Hurricane), con i quali comincia a collaborare per la stesura dei nuovi pezzi. I frutti del sodalizio si materializzano l'anno seguente, allorché "O3 A Trilogy - Part 2" viene dato alle stampe. I toni delicati e arpeggiati dell'esordio vengono rimpiazzati da virtuosistici duelli chitarra-tastiere, alfieri di un prog metal non certo immemore della lezione di Portnoy & soci. Un disco ineccepibile dal punto di vista formale, ma troppo timoroso di abbandonare sentieri fin troppo tracciati.
Il 2007 vede Dominici sempre più coinvolto nel progetto O3: la storia della fine dell'umanità e della sua rinascita, grazie al DNA del suo unico sopravvissuto, il detective Anthony Dam (A.Dam, Adam, Adamo...), viene pubblicata nel 2008. Il songwriting è maturato e il suono si è indurito, come dimostrano alcuni passaggi pseudo-thrash nell'apripista King of Terror, mentre il lavoro della band è illuminato dal talento dei fratelli Maillard, Yan alla batteria e Brian alla fulminante solista, coadiuvati dai nostrani Riccardo Atzeni al basso e Amerigo Rigoldi alla tastiere.
Con un disco di buona caratura alle spalle, Charlie Dominici è pronto per ritagliarsi un piccolo, ma in fondo meritato, posto al sole. Nella speranza che quest'ultimo non venga spazzato via per sempre da personaggi reali simili a quelli descritti nel suo concept ...